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I sette dolori della Vergine

La tradizione cattolica offre a chiunque la meditazione di una pratica devozionale intitolata “ i 7 dolori della Vergine”, racchiusi solitamente sotto l’appellativo di Addolorata e simboleggiati dall’immagine della Madonna che regge il suo cuore trafitto da 7 spade.

Ma cosa può suggerirci questo culto che vede scorrere la vita di Maria attraverso 7 dolori, 7 sofferenze che segneranno la sua vita?

Mi sono chiesto subito se, innanzitutto fossi in grado d’affrontare l’argomento e le tematiche universali che da esso scaturiscono, per una serie di motivi: Maria è una donna ed io sono un uomo, Maria è madre ed io non sono neanche padre, Maria ha accettato il disegno di Dio ed io non sono “uomo di fede”….e soprattutto Maria, diventa la madre di Dio!

Come guardare questi 7 dolori, come comprenderli…soprattutto… come sentirli? Come affrontare l’impresa pittorica e comunicativa dei 7 dolori della Vergine?

Ho riflettuto…ho anche pensato che non fosse possibile…e quando ho chiuso gli occhi, è giunta l’ispirazione più naturale che potesse aiutarmi: mia madre…Flavia…la sua figura, il suo carattere e le sofferenze che come figlia, madre e moglie ha dovuto attraversare nell’arco della sua vita.

Mia madre Flavia, a cui è dedicata l’intera opera pittorica e la passione che ho vissuto per realizzarla, è stata l’unica ancora per il mio pensiero, per il mio sentimento.

Riflettere sui dolori che attraversa e che attraversano Maria, unitamente al pensiero di mia madre, m’ha portato a pensare che, probabilmente, un uomo nell’arco di tutta la sua esistenza, non potrà mai comprendere l’amore che sua madre avrà vissuto per lui…e forse, sarà giusto così, affinché le porte di quel meraviglioso mistero racchiuso nella donna, restino inviolate per sempre, lasciando intatto intorno alla maternità  quell’alone di magia e meraviglia che ad ogni nascita lascia tutti noi rapiti dalla gioia e dallo stupore.

Resta comunque, la difficoltà di sentire il dolore della donna…forse resta ed emerge la difficoltà di sentire più da vicino la donna…ma…riflettevo… che se Dio è padre e madre insieme e  noi siamo creati a sua immagine e somiglianza, anche in ogni uomo c’è una madre, così come in ogni madre c’è un padre. Del resto, se sono nato da una donna, perché non entrare in contatto con le radici che una madre lascia nei suoi  figli e cercare quell’unità che può solo arricchire ulteriormente il proprio essere (così come raccomandava la filosofia alchemica d’un tempo)…e che, nel caso di un uomo, può solo avvicinarlo al mistero chiamato “donna”?  Essere più vicino, più partecipe alla sensibilità della donna, alla sua sfera emotiva, sensitiva…per saperla comprendere, accogliere…e viceversa dovrebbe essere la meta di ogni uomo!

Ma, è alquanto impossibile pensare a Maria senza considerare la figura di San Giuseppe che rappresenta tutti i padri che unitamente alle loro mogli accolgono una sentenza che li accompagnerà per tutta la loro vita: il dolore del figlio…ed il loro.

Come Maria riceve la profezia dell’anziano Simeone durante la presentazione al tempio di Gesù bambino  (1° dolore) riguardante la spada che trafiggerà il suo cuore, così tante madri hanno il coraggio e l’amore di portare alla luce i propri figli, in considerazione del fatto che oggi la tecnologia consente agli uomini di sapere in anticipo sulla nascita se la futura vita sarà colpita da qualche male insanabile, offrendo loro  la possibilità di una tragica scelta: portare alla luce la vita o lasciarla per sempre nel buio.

E purtroppo, la seconda drammatica possibilità, viene abbracciata più di quanto possiamo immaginare, ogni giorno, anche in assenza di malattie che segnerebbero la vita che si sta formando.

A Maria, questa condanna viene consegnata quando il figlio è ancora in fasce: si aprirà da quel momento il viaggio di una donna, di una madre, che ogni giorno veglierà su suo figlio, sul figlio di Dio affinché si compia il disegno divino.

Così giovane, senza alcuna esperienza di come crescere un figlio, Maria, così come tante giovani  madri fanno oggi e hanno fatto nella storia, è costretta a fuggire dalla sua terra  per evitare l’uccisione del figlio. Il delirio di Erode, come quello di tanti tiranni e dittatori che purtroppo ancora oggi decidono le sorti di migliaia di vite umane, impone a Maria la fuga in Egitto (2° dolore) dove troverà riparo per sé e per suo figlio…per evitare che la carne non ancora fortificata del piccolo nascituro finisca trafitta da lance e pugnali di soldati guidati dalla follia di un regnante ancora presente nel nostro tempo in quei capi di stato che troppe volte hanno comandato guerre risoltesi a scapito di troppi innocenti!

Il ritorno nella terra natale avverrà in silenzio, nello stile tipico della figura mariana, donna premurosa e silenziosa, rispettosa e discreta, ma pronta a crollare ai piedi del figlio per la paura d’averlo smarrito, quando dodicenne, il figlio di Dio avrà trascorso tre giorni tra i sapienti del tempio ad insegnare loro la  parola del padre celeste. Lo smarrimento di Gesù nel tempio (3° dolore) trae Maria da quella calma serafica  con cui è solitamente ritratta, costringendola in ginocchio a stringere il figlio, disperata per l’idea di un perenne smarrimento…e per Maria, non sarà l’ultima volta in cui sarà costretta ad inginocchiarsi ai piedi del figlio.

Fin qui, i primi tre dolori della vergine viaggiano all’insegna del movimento, dell’affanno per la fuga, della paura per la perdita del figlio, di una madre giovane che rivediamo solo dopo vent’anni seguire il tragico destino del figlio sulla via dolorosa.

Tra il terzo ed il quarto dolore, trascorrono infatti vent’anni circa…Maria è ormai adulta, ha quasi cinquant’anni, ha quasi compiuto la missione insieme a suo figlio, lo ha cresciuto, protetto, amato, e adesso sta assistendo al suo calvario! L’incontro con il figlio sulla via della croce (4° dolore) è il punto di snodo di tutta la pratica devozionale e così dell’opera pittorica in questione; Gesù, torturato e appesantito dal peso del patibulum legato sulle sue spalle, nel momento più drammatico della sua esistenza, non esita, non dimentica di donare a sua madre un’ultima carezza, un ultimo contatto tra le loro mani prima di spirare sulla croce d’avanti ai suoi occhi. E questo è forse uno degli insegnamenti, degli spunti di riflessione più profondi rivolti a tutti i figli, che in nessun caso dovrebbero dimenticare l’amore delle proprie madri, delle donne che hanno permesso loro di venire al mondo.

Il quarto dolore è l’accettazione del dolore stesso, della missione del figlio, del ritmo drammatico e pacato insieme…la madre compie il disegno di Dio con il figlio, la sua compostezza è l’insegnamento per tutte le madri…la dignità del dolore nel dolore!

Maria ai piedi della croce (5° dolore) è l’emblema dell’amore della donna per i propri figli, per i quali arriva a piegarsi sulla terra, stringendo i pugni, partecipando nel pieno rispetto del dolore e delle scelte del figlio senza interferire neanche nel momento di massima sofferenza del figlio, trasfigurando il volto in una smorfia di dolore a tutti noi incomprensibile.

Il dolore è una dimensione, uno stato dell’anima molto serio, il più serio…e Maria lo sa…dopo aver assistito alla dignità con cui il figlio ha subito tutta la sua passione, anch’ella non cadrà mai in strazianti grida o atteggiamenti convulsi…la sua anima ed il suo corpo saranno sempre guidati dalla consapevolezza nata nel momento in cui seppe accettare il disegno di Dio…ogni momento, anche il dolore e la morte del figlio, saranno per Maria, Annunciazione!

Al momento della deposizione (6° dolore) il corpo di Maria raccoglie nuovamente nel suo grembo il corpo di Gesù che anni prima aveva partorito in una stalla; il volto del figlio è nascosto dal ventre caldo della madre, coperto dall’azzurro manto mariano, per proteggere la sua dignità, lontano dagli occhi di chi non ha saputo comprendere l’importanza del suo messaggio, lontano da chi lo ha tradito.

Le mani di Maria stringono ancora quelle di Gesù ormai segnate dai chiodi che lo hanno trattenuto in alto sulla croce e lei continua a custodirlo per tenerlo ancora una volta, per l’ultima volta, stretto a sé.

Sarà invece nel sepolcro (7° dolore) che Maria, ormai stordita dal dolore, mantenendo sempre la sua compostezza di madre di Dio,  consegnerà il figlio all’eternità, accompagnando dolcemente i suoi piedi, come fosse un nuovo parto, ma questa volta, nella vita eterna!

La figura di Maria contiene, abbraccia ogni cosa, anche il sepolcro è contenuto nel perimetro del suo manto, del suo silenzio.

L’ultimo dolore, mette in luce l’atavico dilemma dell’essere umano: la vita dopo la morte…la vita oltre la vita…la capacità o l’incapacità dell’uomo di affrontare serenamente quella porta che chiamiamo “morte”!

E’ vero, Maria è stata chiamata direttamente da Dio a realizzare il suo disegno, il disegno divino della salvezza umana, ma è pur vero che questo disegno, ella, lo vedrà completo solo alla morte del figlio…la sua consapevolezza, la sua chiamata diretta e la sua accettazione non le risparmieranno il dolore più atroce.

Sarà madre di tutti, è vero, ma quel disegno non potrà vederlo compiuto in anticipo, lo vedrà realizzarsi giorno per giorno, fino alla resurrezione del figlio, quando solo allora saranno state tracciate le ultime linee del capolavoro divino!

E forse, indipendentemente dalla fede, all’uomo di oggi manca proprio il senso del disegno, di costruire la propria vita tracciando e seguendo con entusiasmo le linee invisibili che si completeranno strada facendo, ogni giorno, guidati solo dall’amore per la vita.

Dovremmo tutti imparare a disegnare!

La scelta di attribuire alle tele un timbro quasi monocromatico, dal quale emergono solo le parti incarnate, deriva dalla volontà di concentrare l’attenzione esclusivamente sul dolore della Ma-donna, per non distrarre l’osservatore con altri elementi , facendo si che i corpi, i drappi e lo spazio circostante, siano incorporati nel fondo delle tele, in quel colore che ispira il silenzio e la riflessione.

Oggi si spettacolarizza eccessivamente il dolore dell’essere umano, si specula intorno ad esso con operazioni mediatiche di sciacallaggio attraverso le quali di tutto si parla tranne che del dolore delle vittime di un sistema ormai malato!

Del dolore, forse, non se ne dovrebbe affatto parlare…il dolore è silenzio, è riflessione…per troppo pochi, è occasione di crescita, di maturazione, di elevazione…così come lo è per Maria attraverso i suoi sette dolori.

In fondo è questo il grande insegnamento che emerge dal culto, dalla lettura de “i 7 dolori della vergine” e cioè la capacità di tracciare con le nostre vite un disegno di vita senza la pretesa di vederlo compiuto prima del tempo, affidandosi unicamente all’amore che, sul foglio delle nostre vite, traccerà le linee necessarie a condurci alla felicità, anche se dovremo affrontare qualche dolore…proprio come ha saputo fare Maria 2000 anni fa!

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