Francesco,
è così che prediligo chiamare il santo di Assisi, il vero fratello dei poveri,
l’autentico vangelo fattosi carne fino all’ultimo dei suoi giorni, colui che
rappresenta l’apoteosi della trasformazione spirituale di cui l’essere umano
può essere “vittima” nel corso della propria esistenza.
Sono
attratto dalla sua esperienza umana, pur non potendola comprendere,
osservandola da spettatore silenzioso, un po’ intimorito, come un bambino curioso
che cerca di capire ciò che fanno i “grandi”.
Il
ciclo di opere pittoriche dedicato a Francesco e intitolato “Francesco, il
cavaliere immaginato”, segue in ordine temporale quelli della “Via Crucis” e de
“La Grande Opera”, entrambi improntati sulla trasformazione dell’essere umano.
Il
primo, narra di un Dio incarnato, il secondo dell’essere umano, ma entrambi
finalizzati al raggiungimento di un alt(r)o uomo, di un uomo rinnovato, fatto
di luce e che in ogni caso è costretto a scendere in basso, a precipitare, a
conoscere il degrado della vita per poter risalire verso la luce, quella luce
interiore che dimora in ognuno di noi e verso la quale, faticosamente, qualcuno
di noi decide di incamminarsi.
E’
questo il senso profondo che guida il ciclo pittorico su Francesco, un
obiettivo diretto sulla vita di un essere umano che dal possesso di qualsiasi
cosa decide di attraversare un ponte spogliandosi di tutto ciò che ha,
oltrepassando il fiume della materia, della materialità dell’esistenza e sposando
una nuova famiglia, quella dei poveri, degli sfortunati, degli emarginati e dei
malati, in sostanza, di chi veramente non ha nulla e non lo avrà mai!
E
questo fa paura!
Fa
paura perché spogliarsi spaventa! E’difficile spogliarsi di sé, delle cose che
ci appartengono, perfino di quelle inutili, per cui come immaginare che un
ricco possa farlo!? Eppure, alcuni secoli fa, un giovane ricco di Assisi lo ha
fatto, praticando la via più tortuosa, creando una frattura profonda nella sua
famiglia, nella società del tempo, nella Chiesa di allora…nel mondo!
La
sua volontà, il richiamo indomabile di conoscere e vivere quel mondo escluso
dal mondo, quel buio che lo avrebbe condotto alla luce, che lo avrebbe
trasformato nell’uomo che ancora oggi resiste al tempo e che trionfa come
simbolo di amore per il prossimo, per il più debole.
Francesco
non rappresenta una fede di plastica, non è un punto di riferimento qualsiasi,
e la sua universalità risiede nell’essere abbracciato e stimato da ogni fede,
da ogni religione, da ogni persona che si ponga anche minimamente una delle
tante domande che si era posto lui.
Lo
dipingo, nell’ambito di questo ciclo pittorico, non come uomo di fede nella
religione, ma come uomo di fede nell’uomo, perché credo fortemente che
l’eredità di Francesco, al di là del suo intimissimo ed imperscrutabile
rapporto con il Cristo, sia quella di tendere la mano a chi ha bisogno.
Questo
prepotente pensiero governa tutte le tele, che dall’immagine di Francesco
giovane e benestante, si dirige al suo travaglio interiore a causa degli orrori
della guerra, del terrificante incontro con il lebbroso e dell’illusione di
diventare cavaliere crociato. Il centro concettuale dell’opera è scandito
proprio dall’opera che da il titolo a tutto il ciclo pittorico, “Il cavaliere
immaginato” alla quale fa seguito il gruppo di tele raffiguranti la graduale
trasformazione che condurrà Francesco alla trasfigurazione finale attraverso le
stimmate.
Il
ciclo di tele è affiancato dai cartoni preparatori e dai bozzetti iniziali; modus
operandi imprescindibile essendo io legato al criterio operativo delle botteghe
artistiche del’400 e del’500.
Un
viaggio pittorico che cerco di intrecciare in qualche modo con la mia vita
quotidiana, attraverso riflessioni, incontri e…dedizione totale alla pittura.